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Mothers I’d like to frighten: la recensione di La madre

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Settimana scorsa era uno di quei weekend un po’ loffi in cui noi dei 400 Calci, non sapendo che fare, affittiamo un posticino a Roma, organizziamo delle lotte all’ultimo sangue tra gladiatori e ce le guardiamo sgranocchiando lupini. Una cosina di redazione. Una volta prenotavamo il Colosseo, ma ora non più, perché è mezzo scalcinato e Nanni dice che non ci si confà; per cui nelle ultime settimane abbiamo ripiegato su San Pietro, la basilica. Il Vaticano ci fa un prezzo di favore perché, se non ho capito male, Darth è il nipote del padrone di casa (del padrone, ripeto, non dell’inquilino), quindi ci lasciano fare quello che vogliamo. L’ambiente è grande, possiamo portare un po’ di amici e ammiratrici, e le urla dei gladiatori rimbombano che è una bellezza. Comunque, settimana scorsa eravamo lì e a un certo punto un inserviente mi porta un bigliettino fatto con un foglio di quaderno a quadretti ripiegato in quattro. Lo apro, lo leggo, c’è scritto: «IO + TE = TANTI BAMBINI??? Y/N. XOXO, ROONEY MARA”. Mi giro e, qualche fila più indietro, vedo Rooney Mara paonazza che si copre la faccia con le mani, mentre accanto le sue amiche Katrina Bowden, Cobie Smulders e Milla Jovovich la indicano, si sbracciano, ridono a crepapelle come le scemette che sono. Ho fatto ciao con la mano, mi sono girato, mi sono preso un po’ di tempo per pensarci su.

Cara Rooney Mara, questo è il mio bigliettino di risposta, e purtroppo la mia risposta è N.
Primo, perché dopo il mio incidente di giardinaggio non potrei neanche se volessi. Secondo, perché non sono un grande fan dei figli e del figliare in generale. È un problema mio: non ho l’istinto paterno. Ne sono privo. È una carenza del mio corredo genetico, ne prendo atto e non me ne lamento: dal mio punto di vista esterno, il dilagare dell’istinto genitoriale tra tutte le mie (ex-) conoscenze è una sorta di apocalisse zombi in cui io mi ritrovo sempre di più nella parte di Cillian Murphy all’inizio di 28 giorni dopo, ramingo in una città deserta tra le cui ombre si nasconde una torma di disfatte figure arrancanti, meri simulacri degli umani che furono, condannati a ripetere all’infinito una sola ossessiva frase ormai svuotata di qualunque significato: «SIMONE HO DETTO VIENI QUIIII».
Quindi, Rooney Mara, per quanto sia onorato della tua proposta, devo metterti in guardia da questo impulso autodistruttivo che senti crescere in te ogni volta che mi vedi. Ecco perché ho deciso di consigliarti un film; un film che ti farà riflettere su quanto è ingrato il compito di una madre e su quante difficoltà comporti avere dei figli, soprattutto se tali figli sono creaturine mostruose adottate da un fantasma orrendo che pare Sadako con la faccia disegnata da Modigliani.
Cara Rooney, stasera ti parlo di LA MADRE.

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La madre è un horror prodotto da Guillermo del Toro, e potrei anche chiuderla qui. Tutti sanno, infatti, che quando non è impegnato a realizzare i nostri sogni, Guillermo del Toro ama patrocinare giovani registi ispanofoni, fargli girare horror-mélo di bambini inquietanti, sdoganarli e poi lasciarli liberi di scorrazzare per l’Hollywood. Vi ricordate di Juan Antonio Bayona? Spagnolo, ex-pupillo del Toro, regista del bel The orphanage, adesso è finito a fare The impossible, ovvero il film creato per accontentare tutti quelli che googlavano “Naomi Watts nuda tutta smerdata” e non trovavano mai niente. Fuori uno, avanti un altro: nella puntata di oggi, il giovane regista spagnolo che vince la sponsorizzazione di Guillermo del Toro è…. rullo di tamburi… Andrés Muschietti!

Muschietti è un tipo bravo e furbetto: prima di questo La madre, aveva in curriculum solo un corto di tre minuti dal titolo Mamá. Sì, esatto: il lungometraggio è tratto dal cortometraggio. La cosa curiosa di questo corto è che è stato concepito da Muschietti non tanto come opera a sé, ma – lo afferma lui stesso – come trailer autopromozionale. In pratica Muschietti è andato da del Toro e gli ha detto: «Delto’, io ho una buona sceneggiatura e tre minuti di girato in cui ti dimostro cosa so fare: piani sequenza, movimenti di macchina fluidi e insinuanti, terrori, bambini, scale, effetti speciali degni di questo nome. Me lo fai fare il film intero? Giuro che viene fuori una cosa carina. Per favore?». E secondo voi uno con questo bel faccione qui poteva dirgli di no? Esatto.
Ora guardatevi il corto:

Visto? È una trovata pubblicitaria efficace e ben fatta, perché ti lascia con mille domande: chi sono le due bambine? Perché conoscono un fantasma orribile e lo chiamano mamma? OK, non sono mille domande, sono due, ma il film dà entrambe le risposte.
Le bambine sono le figlie di JAIME LANNISTER. Per tutta una serie di motivi che non vi sto a spiegare, Jaime Lannister abbandona le figlie in una casetta nel bosco infestata dal fantasma di una donna dallo spiccato istinto materno. Poi Jamie Lannister muore. Le due bambine vivono cinque anni in una baracca nel bosco ALLEVATE DA UN FANTASMA MATTO e diventano, comprensibilmente, due mostri orripilanti che camminano come nell’Esorcista e hanno la tendenza a sbucare da un lato dell’inquadratura accompagnate da una staffilata di violini. Un giorno qualcuno le ritrova, e le due bambine-mostro vengono affidate alle cure del fratello gemello di Jaime Lannister (non Tyrion, purtroppo) e della sua fidanzata Jessica Chastain, una punkerina stereotipata e fuori tempo massimo che esterna la sua ribellione tardo-giovanile avendo i capelli corvini e suonando il basso in un gruppo che fa cose ribelli tipo fumare sigarette in sala prove. Ovviamente il fantasma si ingelosisce di Jessica Chastain e vuole ammazzarla. Dal canto suo, Jessica Chastain lascerebbe volentierissimo quei due mostri repellenti alle cure del fantasma, senonché l’ISTINTO MATERNO prende il sopravvento e diventa la forza più forte di tutte, sconfiggendo nell’ordine: (1) il dimonio sovrannaturale, (2) la voglia di libertà e ribellione punk stereotipata, (3) il fatto che le due pargole non sono nemmeno lontanamente imparentate con Jessica Chastain e (4) il fatto che quelle due creaturine orripilanti mettono una paura fottuta e sono due mostri.

Mama, uuuu

Mama, uuuu

Capito, Rooney Mara? L’istinto materno è capace di sconfiggere anche il potere sovrumano del fantasma. Siamo in pieno territorio del Toro: i bambini testimoni di disgrazie, gli orfanelli, le tragedie che separano i genitori dai figli, e il modo in cui tutti questi elementi interagiscono con il sovrannaturale e si rispecchiano in esso. Rispetto ai film di Del Toro, però, e più ancora che in The orphanage, La madre sceglie la via dell’horror con tutti i crismi: ambientazione in una casa inquietante, spaventi ben riusciti, un immaginario che pesca un po’ dagli USA, un po’ dal nuovo horror spagnolo, un po’ dal Giappone. Di suo, Muschietti ci mette un cognome buffo e una mano sicura nel dirigere, tiene la tensione alta e azzecca qualche bella sequenza, soprattutto i long take che seguono i personaggi nella casa giocando bene coi diversi ambienti, col fuori campo e persino col fuori fuoco (quando scorgiamo il fantasma indistinto sullo sfondo, o quando la bambina miope lo vede senza occhiali). C’è soprattutto una scena degna di nota, inquadratura fissa e prolungata, orchestrata in modo ammirevole, con la bambina piccola che gioca con una coperta e un uso intelligente degli effetti speciali…
Oh, chiariamoci, non vi sto dicendo “correte al cinema ché c’è il nuovo messia”; però, se avete voglia di un horror onesto e girato a modino, potreste fare di peggio che andare a vedere questa Madre.

Ma ma ma, mamma maria ma

Ma ma ma, mamma maria ma

In tutto ciò non bisogna dimenticare il valore aggiunto di Jessica Chastain, che io non ho mai capito perché 169 persone l’abbiano votata ai Sylvester come miglior gnocca ma diobono se è un’attrice di caratura superiore: qui fa il miracolo di non rendere ridicolo il punkettismo silviomucciniano del suo personaggio, trovandogli una profondità e una gamma di sfumature che secondo me Muschietti quando lo scriveva neanche se le sognava.
È grazie a lei (o per colpa sua, a seconda di come la vedete), che l’interesse del film si sposta gradualmente dallo scary movie nella casa infestata a una specie di mélo dei vivi e dei morti, con tanto di finale sul ciglio dello strapiombo, musicone strappalacrime e ultimi struggenti abbracci, tutta roba su cui si vedono lontane un miglio le ditate unte di Del Toro. È una conclusione a forte rischio burtonata (a me è persino venuta in mente La sposa cadavere) e so già che molti di voi reagiranno così; io l’ho trovata coerente con la direzione che avevano preso i personaggi, fantasma compreso, e me la sono goduta con quell’espressione di bonaria soddisfazione che ho avuto sulla faccia per tutto il film, tranne in quei due o tre (o quattro) momenti della paura, che invece mi hanno messo sulla faccia l’espressione della paura.

Cara Rooney, grazie per aver letto questo mio bigliettino. La morale è: l’istinto materno è fortissimo e spaventoso, e se scegli di abbracciarlo passi un sacco di guai, un sacco di notti in bianco e un sacco di lotte all’ultimo sangue contro un fantasma assassino. Se scegli di non abbracciarlo, invece, puoi continuare a suonare il basso e fumare le MS in sala prove. Decidi tu. Io alla batteria sono parecchio arrugginito ma un quattro quarti lo so ancora tenere, non so se mi spiego.

The famiglia

The famiglia

DVD-quote suggerita:

«Non è male, è pauroso ma è fatto bene e non è stupido»
(Cornelia Langley-Preminger, mia mamma, i400calci.com)

IMDb/Trailer


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